Scrittori liguri esordienti: Nicola Cavagnaro

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Si autodefinisce istintivo, paratattico, romantico in senso ottocentesco. In realtà, Nicola Cavagnaro, maschio alfa con la passione della scrittura, ha una visione piuttosto Disney dell’amore, anche se nel suo romanzo d’esordio, “Confessioni di un ubriacone dai piedi buoni”, i personaggi non sono proprio felicemente innamorati.
La storia di Jimmy, parabola discendente di un giocatore di calcio talentuoso, è tutto tranne che un romanzo sul calcio. Parla piuttosto di rapporti umani, dell’influenza che hanno le nostre famiglie su di noi, di quanto l’amore possa fare male, di quanto le scelte possano influire sui nostri percorsi e di come i sensi di colpa possano essere bloccanti. E lo fa con uno stile asciutto e leggero, come un acerbo Nick Hornby (ma con molti capelli e di Sestri Levante).

A chi si deve la tua formazione da scrittore?
Ho cominciato a scrivere a quindici anni, con un racconto punk, ma non ho mai fatto corsi di scrittura. Leggo moltissimi romanzi, soprattutto russi e americani. Anche qualche scandinavo, soprattutto le favole di Tove Jansson.
La mia scuola è: “Se puoi togliere qualcosa, fallo. Se non puoi, toglila lo stesso”.

Chi sono i tuoi punti di riferimento letterari?
Non che mi possa paragonare, ma diciamo che sono le stelle polari: Ernest Hemingway, Jonathan Safran Foer, John Fante e Francesco De Gregori.

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Il messaggio del tuo romanzo?
Ci sono diversi modi di approcciare la vita: quello rinunciatario e quello forte, stoico e determinato del co protagonista. Sono due momenti che convivono in molte persone, indipendentemente dalla situazione familiare o dalle difficoltà in cui ci si trova.

Il personaggio principale, Jimmy, è un perdente assoluto?
È ancora meno di un perdente: è uno che non gioca neanche.

Cos’avete in comune?
La profondità del sentire le cose, la capacità di provare amori grandi, l’attrazione fatale per le storie travagliate.

Di chi è il cuore di Jimmy?
Il cuore di Jimmy è in freezer. E lui ha una tremenda paura di scongelarlo. Essendo uno che ha paura di giocare, ha il terrore di soffrire ancora.

Quanto c’è di vero nella storia?
Tutto. Tranne Jimmy e l’ambientazione principale, che proprio non esiste.

Eppure ne parli con molta intimità, come se fosse un luogo in cui hai vissuto
L’isola in sé non esiste, ma è un collage di luoghi realmente esistenti che ho visto e amato moltissimo: l’isola di Inishmore, sulla costa occidentale dell’Irlanda, e il villaggio di Le Conquet, sulla punta estrema della Bretagna. L’atmosfera è quella.

Un retroscena
Questo libro è stato scritto in quindici giorni. Partendo un pomeriggio di agosto alla spiaggia, dopo aver letto “diario di un killer sentimentale”. Dopo sei mesi ne ho scritto una parte e poi ho impiegato un anno a rimetterlo a posto.

I passaggi sul calcio e le cronache sportive sono “da uno del mestiere”. Giochi a calcio?
Amo giocare a calcio ma gioco malissimo. Più che altro mi aggiro per il campo. Però ho dalla mia aver scritto di sport per un giornale locale e avere fatto una lunga gavetta di telecronache.

Cosa vorresti fare da grande?
Il papà.

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